Salamini e un'immancabile lisca di pesce: bastano due immagini a riassumere Benito Jacovitti, il disegnatore che con i suoi personaggi colorati, pesanti e un po' volgari raccontò l'Italia popolare con il disincanto ironico della sua matita. Jacovitti il cui nome di battesimo è Benito, essendo nato l'anno dopo la marcia su Roma, ai suoi tempi era considerato di destra dalla sinistra e di sinistra dalla destra, ma l'essenziale per lui era sentirsi libero di esprimere quel che sentiva. Nel documentario è lui stesso a raccontare il suo percorso di vita e d'arte, attraverso le sue apparizioni in TV dal 1962 al 1997 e le interviste radiofoniche. Per la figlia Silvia, che sorridendo lo definisce "un fratello minore dispettoso" Jac aveva un lato molto oscuro, ma la sua depressione e le sue manie le esorcizzava lavorando ore e ore alle tavole che hanno segnato il tempo del nostro paese. Una lettura critica dei suoi fumetti la dà, invece, lo scrittore e giornalista Goffredo Fofi, accanito lettore fin da bambino del Vittorioso, la rivista dove Jacovitti era la penna più illustre. Per Fofi, Jac è da considerare "uno dei grandi sociologi, antropologi della società italiana dal 1945 al 1997", mentre il critico letterario Gianni Brunoro racconta quanto sia stato importante per Jac il rapporto con il cinema: "quel tipo di fantasia - dice - gli è stata sicuramente favorita da una educazione cinematografica". In effetti da bambino Jac accompagnava al lavoro il padre che faceva il proiezionista, era ancora l'epoca dei film muti. L'illustratore Luca Salvagno, che di Jacovitti era il colorista, lo descrive come una persona affettuosa e dolce, nonostante il suo aspetto burbero, e con un enorme rispetto per i suoi lettori; e Edgardo Colabelli, che per amore dei fumetti di Jac ha aperto il Museo Jacovitti a Roma, ricorda il suo incontro col disegnatore ed è convinto che, con il suo celeberrimo Diario Vitt, "l'umorismo di Jacovitti ha fatto crescere diverse generazioni".